«Era un dirigente politico nazionale della Dc, presidente della Regione Sicilia. Quando fu ucciso dalla mafia stava uscendo di casa per andare a messa con moglie e figli. L’assassino s’è avvicinato e gli ha sparato … Io sono stato chiamato da uno dei miei nipoti e l’ho portato in ospedale, ma non c’era nulla da fare. Questo ovviamente è un ricordo per me molto doloroso».
Fu così che nel 2015 Sergio Mattarella spiegò, ai microfoni della Cnn, la morte del fratello Piersanti, il 6 gennaio 1980. Parlarne fu difficile. «Non l’ho mai fatto», disse all’intervistatrice nel ricostruire l’agguato al fratello a Palermo con una calibro 38.
E non commentava la tragedia politica che si era compiuta allora e che cambiò la traiettoria del partito dei cattolici, oltre al suo personale avvenire. Sì, perché quel giorno Sergio, professore universitario, raccolse il testimone di Piersanti, abbracciando la politica e imboccando il percorso che lo avrebbe portato al Quirinale.